Nel
giugno del 1919 la birreria Spaten Brau, al civico 4 di via Ugo Foscolo, a
Milano, era luogo d'incontro abituale di un buon numero di reduci, in gran parte
ufficiali degli Alpini. Del resto alpino era il proprietario del locale, Angelo
Colombo, come diversi altri frequentatori, soci del Club alpino Italiano:
Guido Bertarelli, Giorgio Murari, Davide Valsecchi, Silvestri, Pier Luigi Viola
e Pizzigalli. E fu proprio dal Pizzigalli che una sera tra questi amici parti
l'idea di costituire, tra i soci del Cai milanese, un gruppo di ex-combattenti
alpini.
Alla riunione che seguì , il 12 giugno del 1919, intervenne anche il capitano
Arturo Andreoletti, un valente alpinista accademico, allievo ufficiale di
complemento nel 1906 al Battaglione Morbegno del Quinto Alpini e poi ufficiale
al Settimo di stanza a Belluno, richiamato nel 1915 e destinato al Battaglione
Val Cordevole, nel '17 all'Ufficío Operativo della 4a Armata, combattente sul
Monte Tomba, sul Monfenera e al Col Moschin, decorato di medaglia d'argento nel
'18 per aver guidato l'azione che aveva portato alla liberazione di Cismon in
Valsugana. Per il suo carattere rigoroso e la sua padronanza alpinistico
militare era stato soprannominato il "Capitano Padretemo". Era stato
congedato alla fine del marzo 1919.
In quella riunione Andreoletti riprese l'idea di
Pizzigalli e la allargò: perché limitare il sodalizio ai soci del Cai? Non era
meglio costituire "una grande famiglia alpina" e non soltanto tra i
reduci, ma anche fra tutti quelli che in futuro sarebbero stati chiamati alle
armi nelle truppe alpine? L'idea passò, una circolare del 3 luglio 1919 convocò
l'assemblea costitutiva che si tenne cinque giorni dopo nella sala
dell'associazione Capimastri, in via Felice Cavallotti,e alla quale
parteciparono una sessantina di Alpini, in gran parte ufficiali in congedo,
provenienti da diverse località della Lombardia e del Veneto. L'A.N.A. era
nata.
Gli obiettivi dell'Associazione possiamo leggerli
ancor oggi in un brano del capitano Vittorio Bosone, uno dei soci fondatori:
"Ci presentiamo a tutti i compagni con un appello e una promessa. L'appello
è nell'invito che rivolgiamo a voi tutti alpini d'Italia, di serrarvi con noi,
di essere al nostro fianco in continuità di affetti, di memorie, di propositi,
ancor oggi nella pace conquistata, la parte più sana e più laboriosa del
nostro tormentato Paese. La promessa è nella volontà nostra di tenere vive
tutte le memorie, accese tutte le fiamme delle tradizioni gloriose: volontà che
non si fossilizza nella considerazione del passato ma che dall'eloquenza dei
fatti e delle realtà vissute, prende mosse per la perpetuazione nel domani ,
dell'eroico sentimento del dovere, della fermezza delle opere che distinsero e
fecero gloriosi i nostri battaglioni. Non c'è in noi alcun proposito di parte,
nessuna faziosa abitudine: non chiediamo nulla, non intendiamo fare esibizione
di noi stessi, e in nome dei doveri compiuti, dei nastrini azzurri che fregiano
i nostri petti, rivendicare diritti maggiori di quelli che spettano a ciascun
cittadini onesto. Non vogliamo plagiare i gesti poco sereni a scopo di
agitazioni politiche, di irrequietezze di classe, ma tener pulito, lontano da
macchie e miserie, il nostro sdrucito grigioverde e la nostra gloriosa penna
nera".
Vi era in quei soci fondatori l'orgoglio di
appartenere ad un Corpo che aveva svolto un ruolo essenziale nella guerra appena
conclusa, vi era il ricordo della vita insieme nei lunghi mesi di trincea, le
fatiche, i sacrifici, le angosce, tutto divenuto ormai patrimonio comune,
fissato per sempre nei giorni gioiosi della vittoria e nei giorni più grigi del
dopoguerra, in un Paese sconvolto dalle contese e dalle lotte di piazza, dalla
campagna antimilitarista di massa.
LE ASSOCIAZIONI COMBATTENTISTICHE
Beninteso gli Alpini non erano i primi
ex-combattenti che cercavano di associarsi. Già nel novembre del '18
l'associazione nazionale fra mutilati e invalidi di guerra" aveva
pubblicato un "programma pel dopoguerra"chiedendo al Paese un profondo
rinnovamento morale, sociale e politico, e invitando tutti i combattenti ad
unirsi in un grande sodalizio nazionale. Non s i trattava soltanto di mantenere
la solidarietà della trincea, e di ottenere dal governo provvidenze per il
reinserimento nella vita civile, ma anche di promuovere nel Paese, al di sopra e
al di fuori dei vecchi partiti, un'azione di rinnovamento, maggiore unità della
giustizia sociale per tutti. Nel programma della nuova associazione, che nel
giugno del '19 tenne a Roma il suo primo congresso, vi erano obiettivi ambiziosi
ma di grande valenza sociale, come quello della "terra ai contadini",
e quello, di derivazione mazziniana e repubblicana di una
"Costituente" che scrivesse una nuova Costituzione dello Stato
Italiano, con la quale sostituire l'ormai superato "Statuto albertino".
Come si vede non esisteva allora equazione
combattentismo¥-fascismo che qualcuno ha voluto poi vedere. E come
nell'interventismo erano confluiti movimenti di diversa formazione, così
accadde nelle associazioni di ex-combattenti e negli stessi fasci, almeno nella
loro iniziale e prima della svolta del '21. Come ha rilevato lo storico
Giannantonio Paladini, "tra i fasci nascenti nel clima diciannovista in
diverse città, tra cui Venezia, e il fascismo e che trionfò più tardi, c'è
di mezzo la storia di un tentativo fallito, quello degli ex¥-combattenti
vicini alle posizioni dell'interventismo democratico di creare "un nuovo ed
unitario partito nazionale di democrazia realmente progressista e
popolare", secondo intenzioni di un Silvio Trentin ."
E questo resta vero anche se nel clima
diciannovista nacquero anche associazioni di ex-combattenti che avevano più che
altro un programma nazionalista e di scarso respiro incentrato
sull'affermazione della grandezza della Patria, molto attento alle
rivendicazioni di stampo dannunziano, come "l' Associazione degli Arditi
d'Italia".Gli Alpini avevano voluto dare alla loro "associazione
d'arma" un carattere ben diverso dalle altre, l' "alpinità" che
si legava all'amore e alla pratica della montagna, guarda al futuro oltre che al
passato, alla pace oltre che alla guerra. Una scelta felice, perché quel
carattere ha avuto la meglio anche sul tempo, e resiste alle vicende storiche,
alle innovazioni tecnologiche, alle stesse vicende del Corpo degli Alpini.
LE SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO
E poi gli Alpini avevano alle spalle una storia
lunga, datando la nascita del Corpo al 1872. Soprattutto in Piemonte, culla
storica del Corpo, gli alpini in congedo avevano costituito gruppi organizzati,
e in particolare quattro "Società di Mutuo Soccorso", ed una quinta
società stata costituita da emigrati a Yellico negli Usa.
Ora la Grande Guerra era stata come un crogiolo
nel quale tutte le esperienze precedenti si erano fuse, anche gli Alpini avevano
raggiunto una loro "maggiore età", in un'Europa che aveva voltato
pagina e guardava alla ricostruzione dopo aver pagato alla guerra costi
altissimi, in mezzi profusi, uomini uccisi, territori devastati. Guardava al
secolo XX° che, al termine del suo secondo decennio, prometteva nuovo sviluppo e
pace.
Bisognava dunque andare avanti, ma la guerra non
andava dimenticata, l'esperienza della trincea andava conservata e tramandata. E
la vita borghese non poteva avere i caratteri dell'opportunismo, della
debolezza, della soggezione. "Avendo conosciuto l'ebbrezza del morire in
piedi, non è più possibile addormentarsi nello stupido letto orizzontale della
mediocrità e della vigliaccheria!" griderà agli alpini convenuti per la
loro prima adunata nazionale sull'Ortigara don Giulio Bevilacqua, già valoroso
ufficiale del battaglione Stelvio e futuro cardinale.
Con questo spirito la neonata Associazione
Nazionale Alpini si diffuse nelle province italiane. E tra le prime undici
sezioni ad essere fondate, nel corso del 1920, ci sono anche quelle del
Triveneto: Bassano il 10 febbraio; Verona l'11 aprile; Udine il 17 luglio;
Trento il 18 luglio; Padova e Venezia.